Da diversi giorni i giornali titolano:
Così ci si scopre terra di "sbarchi", da camion in transito non da barconi, ma pur sempre di sbarchi si tratta. Che la cosiddetta "rotta balcanica" fosse quella principale della migrazione irregolare, altrimenti nota come "immigrazione clandestina" (il 95% di chi arriva senza passare dalle frontiere ufficiali risulta poi non avere i titoli per richiedere asilo politico) e di chi scappa da guerre e persecuzioni politico-sociali (circa il 5% dei migranti appunto), lo si sapeva da sempre. Fa meno chiasso mediatico rispetto allo sbarco a Lampedusa ma è pur sempre una delle rotte principali per l'ingresso in Europa.
Le fasi successive sono l'identificazione dei migranti e l'avvio delle pratiche di richiesta asilo. Almeno due anni (passati nell'inedia) per identificare quel 5% che ha diritto all'asilo e per identificare il restante 95% che è rappresentato da migranti economici generalmente con bassissime competenze rispetto ad un'economia che ambisce all'industria 4.0.
Segue poi la certificazione dello status di "rifugiato" per il 5% con la dispensa dal lavoro e l'assegnazione di alloggio e mantenimento da parte dei contribuenti. Per il 95% segue la clandestinità visto che il rimpatrio forzoso costa troppo e di fatto non si fa. Segue anche il dibattito politico nei bar tra chi li chiama tutti "rifugiati" e chi li chiama tutti "clandestini" quando in realtà, il 5% (circa) sono "rifugiati" e il 95% (circa) sono "cittadini stranieri senza titolo per rimanere sul territorio nazionale" (in breve "immigrati irregolari" o "clandestini").
Potrebbero lavorare ma le leggi e gli accordi internazionali liberamente sottoscritti dall'Italia nei tempi che furono, giustamente, non impongono al richiedente asilo legittimo (sempre quel 5%) di dover lavorare in cambio del riconoscimento del suo status di rifugiato.
Dall'altro lato, un "clandestino" (sempre quel 95%) per definizione non può essere assunto da un datore di lavoro legittimo.
Per cui c'è un cortocircuito che serve ad alimentare l'odio sociale. Verosimilmente tra quel 95% ci sono molti che potrebbero essere utilizzati nell'economia nazionale e sicuramente avrebbero molte più motivazioni per far bene per se stessi e per la comunità italiana. Probabilmente molto di più dei figli di papà e dei troppi fancazzisti cronici italiani che vivono di sussidi e mancette statali.
Per risolvere questa complessa situazione, la storia ci insegna che si è sempre finiti con sanatorie di massa dei migranti (tutti i governi le han fatte e le continuano a fare, anche quelli nominalmente più intransigenti con la migrazione). Che poi la sanatoria, per dirla tutta, se fatta da una parte politica è di fatto un'ammissione di incapacità a gestire una situazione complessa e costosa, se fatta dall'altra parte politica è semplicemente una presa di posizione ideologica. Il risultato è comunque lo stesso. Per inciso, si può anche decidere di non decidere ovvero emanare leggi che non disciplinano la realtà ma la fantasia (ad esempio basandosi sull'idea che ci siano uomini e fondi per rimpatriare tutti i clandestini). Anche se decidere di non decidere è in fondo una decisione.
Il nocciolo del problema resta quella quota di immigrati (pochi? tanti? troppi?) che non sono impiegabili perché non all'altezza della domanda di un'economia industriale complessa come quella italiana. A quel punto si apre la strada o dell'indigenza (in un modo o nell'altro a spese del contribuente) o della delinquenza come testimoniato dal mix di
nazionalità d'origine della popolazione carceraria in Italia (sempre a spese del contribuente).
Insomma, un bel casino ed una questione fortemente divisiva proprio qui, tra di noi, nelle nostre strade.
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Chiasiellis, 17 luglio 2020 ore 7:35 |