Palmanova, lì 15.04.2013
Con cortese richiesta di pubblicazione se ritenuto di interesse generale.
Nei giorni scorsi, sui giornali è apparsa la notizia che nel 2012 sono stati rilevati 500 suicidi riconducibili direttamente alla crisi economica. Un numero pari al 18% del totale del totale delle persone che si è tolta la vita l'anno scorso. E' certamente una notizia drammatica, a cui non è stato dato il giusto rilievo. Un così elevato numero di morti stà a testimoniare che è in corso una vera e propria guerra, e che, come in tutte le guerre, ci sono inevitabilmente vittime, molte vittime.
Oltre il sentimento di umana pietà per coloro che non hanno retto la fatica del vivere dei nostri giorni, restano alcune amare considerazioni. Come in tutti conflitti, esistono due parti che si fronteggiano aspramente e violentemente, per contrasti di interesse. Da una parte, sicuramente identificabile, ci sono i cittadini, ovvero, ognuno di noi. Questi morti non sono alieni, sono i nostri vicini di casa, i nostri colleghi di lavoro, i nostri parenti. In ultima analisi, questi morti siamo noi.
Resta da definire chi sono gli altri, chi sono gli avversari. E qui il discorso si complica, perchè non è affatto facile capire chi ci stà aggredendo. La lettura più elementare ci porterebbe a identificare nel “nemico” la nostra classe politica, così incapace e velleitaria. Questa interpretazione, però, è troppo semplicistica. Ferme restando le gravissime responsabilità morali e pratiche dei nostri rappresentanti eletti, che in lunghi anni di mala gestione hanno contribuito a smontare lo Stato e il senso stesso di appartenenza a una collettività, appare sempre più evidente che il piano di aggressione è ben più ampio e articolato. Dentro il cartello alleato che ogni giorno ci impoverisce e ci tormenta ci stanno sia formidabili spinte internazionali, sia miserrime ottusità burocratiche.
Noi cittadini perdiamo ogni giorno una piccola porzione di diritti, subendo angherie intollerabili e mortificanti. Chi gestisce un'impresa autonoma, conosce molto bene, quotidianamente, l'enorme fatica di gestire il bilancio in assenza di pagamenti certi ed esigibili, avendo da tempo rinunciato a riconoscere nel sistema giudiziario italiano un interlocutore affidabile e veloce. Chi lavora nel settore autonomo vede giornalmente calpestata la sua professionalità da parte della concorrenza sleale, che distrugge il valore del lavoro in nome di una corsa senza senso al ribasso, senza alcun controllo da parte degli organi istituzionali. E' la guerra dei poveri, di tutti contro tutti.
Chi si ostina a rispettare le regole, si vede continuamente superato a destra e a manca dai furbi e furbetti che propongono scorciatoie tecniche e morali, in nome di un'interpretazione grottesca e tutta italiana del principio di libera concorrenza. Chi si assoggetta al dovere di pagare le tasse, per primo soccombe quando sono le Istituzioni stesse che per prime negano il pagamento delle prestazioni ricevute.
In questo panorama desolante, la cosa più angosciante è la mancanza di una qualsiasi credibile prospettiva di cambiamento. Non nutrire speranza per il futuro è molto peggio che sopportare la crisi attuale. Resta forse e solo la prospettiva di andarsene. Andarsene da questa Italia matrigna, fuggire da questa società di cui non si condividono più i valori; scappare da una quotidianeità ricca di amarezze e misera di soddisfazioni. Andarsene, che per troppi nostri concittadini ha significato tagliare tutti i ponti, drammaticamente e irreparabilmente. E mentre a Roma si discute, l'Italia muore.
R. Di Maggio