domenica 5 febbraio 2012

Il Dramma del Morsanico Moderno: la Dealfabetizzazione

Abbiamo parlato di tasso di analfabetismo nel post "Numeri Utili: il tasso di analfabetismo in Italia (1861-2011)" ed abbiamo capito che, a seconda delle metriche usate, in Italia si ha un tasso di analfabetismo che va dall'1% secondo l'ISTAT al 36% di ana-alfabetismo (cioé di chi ha solo la licenza elementare o nessun titolo di studio) secondo l'UNLA (Unione Nazionale per la Lotta contro l'Analfabetismo).

Il fatto piú allarmante é che si stanno osservando tendenze nuove dovute sia all'allungamento della vita che alla crescente complessitá delle cose di ogni giorno. Molto banalmente, mentre "una volta" un geometra sapeva e poteva fare tutto quel che riguardava la progettazione e le pratiche burocratiche legate alla costruzione di una casa, oggi servono mille tecnici ed altrettante certificazioni: la vita é piú complicata e si richiede una scolarizzazione specifica per ogni cosa. Inoltre si vive piú a lungo e gli studi conclusi a vent'anni rischiano di appassire e sedimentarsi se non si rinfrescano periodicamente. Da qui il rischio di dealfabetizzazione cioé di non riuscire ad rimanere al passo con i tempi con adeguati livelli di conoscenza e comprensione.

In questo caso ci aiuta nel ragionamento l'indagine dell'OCSE denominata "ALL" (Adult Literacy and Lifeskills), dedicato specificamente all'analfabetismo funzionale. Qui le indagini del 2003-2004 su un campione della popolazione compresa tra 16 e 65 anni hanno mostrato un quadro preoccupante: su tre livelli di competenza alfabetica funzionale (inferiore, basilare e superiore) il 46,1% degli Italiani è al primo livello, il 35,1% è al secondo livello e solo il 18,8% è a un livello di più alta competenza.

A simili conclusioni arriva il linguista Tullio de Mauro nel 2008 sostenendo che solo il 20% della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea.

Dunque, indipendentemente dai titoli di studio, secondo le statistiche, solo un quinto dei morsanesi riesce a capire un po' il mondo d'oggi. Abbiamo chiesto lumi in osteria e gli avventori hanno sentenziato che oggi  per non essere degli analfabeti si deve sapere (indipendentemente dal titolo di studio posseduto):
  • un po' di inglese;
  • un po' d'informatica;
  • capire quello che c'e' scritto sui giornali sulle questioni generali
  • e soprattutto esprimersi bene nell'Italiano scritto e parlato
E adesso iniziano i cazzi
Cosí, sulla base di questi semplici parametri spannometrici, possiamo concludere che il vecchio notabile di paese con laurea presa negli anni Cinquanta ma che non sa prenotarsi un biglietto aereo su Internet é un "dealfabetizzato". Oppure, in questi anni di universitá di massa che crea piú illusioni che sapere, il giovane neolaureato che non sa scrivere (vedi Troppi strafalcioni All’esame di Stato per gli avvocati bocciatura di massa) o non sa le lingue é di fatto un "dealfabetizzato" (e pure mazziato). 

Ma esiste anche un fenomeno piú insidioso ed é legato ai cambiamenti tecnologici e delle professioni. Il commerciante (con la 5a elementare) sa fare i calcoli a mente non solo velocemente ma pure quando sono complessi perché con un calcolo veloce ed accurato puó concludere l'acquisto di una partita di cipolle al prezzo piú vantaggioso. Oggi, dopo che la tecnologia ha messo a disposizione calcolatrici scientifiche, fogli excel con formule che fanno tutto... provate a chiedere ad un laureato di fare un calcolo a mente! Dottore quanto fa 160 diviso 35? La nuova "dealfabetizazione" é anche qui.

Senza contare che il drammatico abbassamento degli standard universitari (dove il ragionamento dei consigli di amministrazione delle universitá é che bocciare non conviene perché piú studenti si laureano piú se ne iscrivono e piú soldi portano agli atenei) e il 3+2 hanno ridotto quelli che gia' erano "esamifici" a meri istituti di burocrati concentrati piú sulla didattica che sulla ricerca. Bassi standard e lauree di massa i cui risultati si vedono anche in paese dove lo status di "laureato" equivale allo status di "pera cotta". Poi se chi ha il pezzo di carta non sa neppure scrivere bene perché, di fatto, il permissivismo accademico ha le maglie larghe, allora si finisce dritti dritti in quella che potremmo definire"dealfabetizzazione qualificata" ovvero il pezzo di carta senza il "sapere". 

Inoltre il laureato che fa un lavoro di ripiego, magari non intellettuale - come capita a moltissimi - rischia di dequalificarsi con il passare del tempo finendo nell'oblio della dealfabetizzazione di fatto. In paese spesso si sente dire che una laurea non serve a niente e lo si dice sulla base dell'osservazione dei laureati che ci circondano e non tanto per i soldi che (non) portano a casa a fine mese ma per come ragionano e come si pongono di fronte ai problemi di ogni giorno. La frase "se chel li l'e' un dotor alore sin propit cagâz" é abbastanza comune (frase che era impossibile udire fino agli anni Ottanta).

Paradossalmente, il sessantenne che fa un lavoro che lo obbliga a scrivere, a usare il computer e tenersi aggiornato con leggi e regolamenti o che semplicemente si interessa di scienza e cultura nel suo tempo libero e' piú alfabettizzato del trentenne laureato che fa lavori non qualifica(n)ti e che non coltiva altri interessi.

Tra le tante bestie nere del vivere moderno morsanico mettiamoci pure dentro questa: la dealfabetizzazione

1 commento:

Anonimo ha detto...

Tratto da curriculum: "contratto di un mese per picchio di lavoro"

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