martedì 21 novembre 2017

Spritz Childless: la responsabilità per l'arrivo di immigrati dall'Africa è delle italiane che non fan figli?

Oggi in bar la grappa corretta caffè ha riscaldato gli animi almeno quanto il titolone del Messaggero Veneto:

Sempre meno figli nelle famiglie friulane: poche Pimpe e troppe Pippe

L'equazione è molto banale: "i numeri chiari ed inequivocabili ci dicono che ci servono gli immigrati perchè la popolazione è in calo e dobbiamo riempire i posti mancanti sul lavoro e in società con l'immigrazione". Per inciso, con i tassi di natalità e pensionamento attuali, entro i prossimi 30 anni, ci servirebbero 15 milioni di persone in più del saldo naturale per mantenere la popolazione agli attuali livelli produttivi e di vita sociale. In Giappone, che ha una crisi democrafica simile all'Italia, le case dei centro città cadono a pezzi perchè muoiono gli anziani e non han eredi diretti.

Andando alla radice della questione, se l'immigrazione di massa è considerata in toni positivi da più parti è perchè la popolazione è in calo. Se la popolazione non fosse in calo, chi è a favore dell'immigrazione, perderebbe il sostegno dell'argomento principale a favore dell'immigrazione.

La popolazione, per essere in calo significa che la natalità è crollata e non si fanno almeno 2 figli a coppia. Per di più ci son "vedrans" e "vedranis", senza figli per scelta, più che in ogni altro periodo storico.

Al che, è scattato il morsanometro:
  • Quante coppie (over 40) ci sono a Morsano con meno di due figli? 
  • Quanti ultra quarantenni morsanesi son senza figli ci sono?
(fatevi voi i conti, è facile)

La risposta aiuta a capire come relazionarsi con l'immigrazione. Ovvero: se siamo pieni di bambini, allora l'immigrazione (di massa) non serve e non servirà. Se invece constatiamo che non ci son bambini, allora, volenti o nolenti, l'immigrazione serve e servirà.

La questione su "che tipo di immigrati" servano (età, grado di istruzione etc) è un'altra questione che qui non c'entra col punto in discussione.

Così la platea s'è divisa tra:

- chi ritiene che l'egoismo (voglia di far festa piuttosto che cambiare pannolini e prendersi responsabilità genitoriali), l'incapacità di giudizio (mi dedico alla carriera poi faccio figli... ma che carriera?!? qui non vediamo amministratori delegati di aziende quotate al Nasdaq) e l'incapacità (di programmare la propria vita) stiano alla base della poca natalità e del conseguente calo demografico. Quindi, chi non ha almeno due figli dovrebbe stare zitto quando si parla di immigrazione e prendersi la colpa dell'immigrazione. In silenzio.

- e chi ritiene che a Morsano i figli non si facciano per le politiche anti-famiglia di chi ha governato l'Italia negli ultimi trent'anni, governanti che al contempo spingono per favorire l'immigrazione da paesi poveri che, inevitabilmente, han popolazioni più giovani. La causa della poca natalità non è quindi dei morsanesi e delle loro scelte ma della classe dirigente. Quindi, anche chi non ha figli può avere un'opinione forte sulle questioni legate all'immigrazione.

...e con il bromuro nella minestra, il dibattito continua


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Il commento Sul Messagero Veneto 
"Sempre meno figli in Friuli, una generazione che ha paura di amare"
Dai, ammettiamolo, fuori dai denti e senza troppo politically correct: i figli sono una rottura di balle. I figli ti costringono a ridisegnare completamente la tua vita, a cambiare i tuoi tempi. E costano. Ma con questo atteggiamento ci siamo trasformati in eterni Dorian Gray e lasciamo che a invecchiare sia il quadro, cioè la carta d’identità, il segno anagrafico.di Enrico Galiano

e altri post sul tema:

giovedì 1 settembre 2016

giovedì 16 novembre 2017

CAFON: Quanto dovrebbero durare le imprese morsanesi?

Si discuteva l'altro giorno in un loft della "Morsano Bene" (altrimenti conosciuta come la "Morsano da Bere") sulla durata delle imprese morsanesi. La domanda che ci si è posti è quanto dovrebbe idealmente, durare la vita di un'azienda.

In media, si dice, che in Italia le aziende durino una decade. Anedotticamente, si sa che i passaggi generazionali sono il problema più gravoso per le imprese italiane. Imprese che, come vistosa peculiarità del tessuto economico all'interno delle nazioni del G8, l'Italia le ha particolarmente piccole con oltre il 95% con meno di 10 dipendenti. Appare subito evidente che con aziende molto piccole e con l'assenza di manager di professione al loro interno, la continuità gestionale è ulteriormente messa in difficoltà da un passaggio generazionale troppo largamente influenzato dalle passioni e capacità degli eredi designati.

La cosa che fa specie è che mentre nelle piccole e piccolissime imprese è il passaggio generazionale la bestia più nera per la loro esistenza, nelle grandi e pure grandissime aziende, la causa di morte è la poca capacità di adattamento ai cambiamenti. Cambiamenti spesso velocissimi. Un esempio conosciuto ai più è la Kodak, spazzata via dalla fotografia digitale. Oppure la Nokia che a forza di concentrarsi sulla forza della "scatola" che conteneva il telefono ha prodotto eccellenti cellulari ma ha perso di vista l'innovazione che il software, sotto forma di "app", stava portando nell'industria della mobilità digitale.

Fatto sta che delle 500 aziende più grandi al mondo nel 1955, ad oggi ne son sopravissute solo 60, poco più del 10% (vedi figura qui sotto).
Fortune 500 firms 1955 v. 2016: Only 12% remain, thanks to
the creative destruction that fuels economic prosperity
A Morsano ci sono imprese che hanno festeggiato i 60 anni di vita, altre che han chiuso dopo un ventennio e perfino l'impresa edile storica, già tra le più importanti del Friuli, che si tramandò per ben tre generazioni, chiuse negli anni Ottanta.

Mantenere il passo con l'innovazione tecnologica e con il modo di produrre e proporsi sul mercato è altrettanto difficile che garantirsi una continuità generazionale. La "disctruzione creativa" c'è sempre stata e sempre ci sarà ed è questo che mantiene vivo il tessuto economico paesano e non.

 

martedì 14 novembre 2017

mercoledì 8 novembre 2017

Numeri Utili: Ospiti nelle strutture di raccolta immigrati (2017)

Numeri sul fenomeno migrazione da paesi in via di sviluppo:

- Numero dei migranti presenti nelle strutture di accoglienza: nel 2012 erano 16.844 mentre nel 2016 erano 188.084 (+1.017%).
- Nella prima metà del 2017 le richieste di asilo in Italia sono aumentate del 44% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
- Sono state esaminate 41.379 domande:
  - Circa 4,3 su 10 hanno avuto esito positivo, con il riconoscimento dello status di rifugiato nel 9% dei casi, della protezione sussidiaria nel 9,8% e del permesso per motivi umanitari nel 24,5%.
  - Per il 51,7% l’esame della richiesta si è concluso con un diniego.

Fonti: Anci, Caritas italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes e Servizio Centrale dello Sprar, in collaborazione con Unhcr.

Comuni:
- In tutto 3.231 Comuni italiani, il 40% del totale, accolgono richiedenti asilo. 
- Nelle strutture italiane sono ospitati in tutto 205 mila migranti al 15 luglio 2017.
- I posti Sprar da 26 mila, a fine anno potrebbero diventare 35 mila.
- Nel 2016, a fronte di poco più di 41mila migranti rintracciati in posizione irregolare, i rimpatri sono stati oltre 5.800 (erano 5.500 nel 2015).

Fonte: Il Sole24Ore "In 5 anni quintuplicati i richiedenti asilo accolti nelle strutture di accoglienza"


domenica 5 novembre 2017

Idee Morsaniche: che sia giunta l'ora di educazione finanziaria nelle scuole?

Le Popolari Venete (Popolare di Vicenza e Veneto Banca) e le banche del Centro Italia (Banca Etruria, MPS etc) sono state materia di cronaca finanziaria per anni e un certo numero di morsanesi, ci han rimesso parte dei loro risparmi. In particolare, in paese, ha colpito la questione della Banca Popolare di Vicenza. 

Detto questo, parlando in bar si constata come ci sia una generale disinformazione sul mondo della finanza spicciola, quella del dove depositare un piccolo gruzzoletto o i risparmi di una vita da gente comune.

Ci sono diversi fattori che contribuiscono al panico ed alla disinformazione totale. L'offerta di certo non aiuta: servizi finanziari evoluti non ce ne sono o comunque sono a disposizione di pochi individui piuttosto che delle persone comuni. La fanno da padrone le banche che tendono ad avere tutte servizi molto simili e costi molto simili. Il modello generalmente é il seguente:

- l'impiegato di banca offre quello che gli viene ordinato di offrire dai suoi superiori e non necessariamente quello di cui il cliente ha bisogno (che la banca potrebbe non avere) 
- ogni mese c'e' un prodotto finanziario particolare che va venduto indipendentemente dalle esigenze specifiche del cliente e quindi viene consigliato a tutti
- s'e' piú volte verificato che se si chiede all'impiegato in banca un prodotto diverso, cade dalle nuvole e ti guarda come un alieno (é meglio fare certe operazioni sul conto Lussemburghese) 
- ci sono commissioni palesi e commissioni nascoste
- La differenza tra tenere i soldi sotto il materasso o metterli in uno dei prodotti "del mese" é troppo spesso nulla in una prospettiva di medio termine visti i costi bancari palesi e non.  
- il controllo sul sistema bancario e finanziario italiano é quello che é (e per amor di pace non diciamo nulla di piú di quello che una commissione parlamentare guitata da Pierferdinando Casini possa appurare). 
- Le banche, anche dopo fusioni e acquisizioni, piuttosto che licenziare, come sarebbe necessario per evitare doppioni e sovrapposizioni di ruoli e contenere i costi, tengono tutti i dipendenti e scaricano i costi ai propri clienti
- Le spese bancarie italiane sono tra le piú alte d'Europa (sia in termini di tasse, inesistenti in tanti altri paesi, che in termini di spese esplicite e nascoste - come i giorni di valuta)

Il lato offerta io e te non lo cambiamo, al massimo possiamo evitarlo senza criticarlo troppo perché non si sa mai di chi puoi aver bisogno nei piccoli paesi. 

Quello sul quale si puó agire é il lato domanda, ovvero di chi chiede i servizi finanziari alle banche. 

Il ragionamento, piú raffinato di quanto si potrebbe fare qui, lo fa NoiseFromAmerika nel post di L'AVVELENATA: "Sui buoni consigli per gestire il risparmio" del 3 novembre 2017 a cura di  Massimo Famularo. 

Considerato che se il risparmiatore si fa gabbare, oltre a perderci soldi lui (e son cazzi suoi), rischia di perderli la collettivitá (e son cazzi nostri) se governi piú o meno avveduti decidono di spendere 20 miliardi per salvare banche in crisi (come ha fatto il governo Gentioli). Urge dunque pensare ad una diffusa educazione finanziaria. Quantomeno di base. 

Conclusioni: sulla base dei discorsi in bar e la relativa ignoranza finanziaria appurata, si ritiene sia giunto il momoento di introdurre nelle scuole (della zona, per cominciare) alcune lezioni ad hoc per diffondere nozioni elementari in merito alla diversificazione del rischio come parte del set di base di compenenze di cui ogni individuo adulto ha bisogno per comprendere il mondo che lo circonda.

Niente discussioni accademiche, solo rudimenti di matematica, statistica, economia  e un bel pò di esempi pratici. Al limite, anche circoli culturali e associazioni paesane dovrebbero pensarci su. 

Qualcuno raccoglierá l'idea? 

Spritz Landings: in tempi di crisi, puó bastare la solidarietá?


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