In media, si dice, che in Italia le aziende durino una decade. Anedotticamente, si sa che i passaggi generazionali sono il problema più gravoso per le imprese italiane. Imprese che, come vistosa peculiarità del tessuto economico all'interno delle nazioni del G8, l'Italia le ha particolarmente piccole con oltre il 95% con meno di 10 dipendenti. Appare subito evidente che con aziende molto piccole e con l'assenza di manager di professione al loro interno, la continuità gestionale è ulteriormente messa in difficoltà da un passaggio generazionale troppo largamente influenzato dalle passioni e capacità degli eredi designati.
La cosa che fa specie è che mentre nelle piccole e piccolissime imprese è il passaggio generazionale la bestia più nera per la loro esistenza, nelle grandi e pure grandissime aziende, la causa di morte è la poca capacità di adattamento ai cambiamenti. Cambiamenti spesso velocissimi. Un esempio conosciuto ai più è la Kodak, spazzata via dalla fotografia digitale. Oppure la Nokia che a forza di concentrarsi sulla forza della "scatola" che conteneva il telefono ha prodotto eccellenti cellulari ma ha perso di vista l'innovazione che il software, sotto forma di "app", stava portando nell'industria della mobilità digitale.
Fatto sta che delle 500 aziende più grandi al mondo nel 1955, ad oggi ne son sopravissute solo 60, poco più del 10% (vedi figura qui sotto).
Fortune 500 firms 1955 v. 2016: Only 12% remain, thanks to the creative destruction that fuels economic prosperity |
Mantenere il passo con l'innovazione tecnologica e con il modo di produrre e proporsi sul mercato è altrettanto difficile che garantirsi una continuità generazionale. La "disctruzione creativa" c'è sempre stata e sempre ci sarà ed è questo che mantiene vivo il tessuto economico paesano e non.
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