giovedì 21 agosto 2014

Angolo di Storia: l'odissea degli Italiani con la divisa ausburgica nella Grande Guerra

Il monumento ai 90 caduti di Gradisca d'Isonzo
che vestirono la divisa austroungarica
Medaglia celebrativa dell’Imperial Regio Reggimento di Fanteria Nr. 97
formato da soldati di diversa nazionalità, provenienti dalle
Province meridionali dell’Impero, in particolare da Trieste,
dall’Istria e dal Friuli Austriaco, ossia dal Küstenland (Litorale). 
Tutti i Morsanesi sanno che prima della Grande Guerra, i confini con l'Impero Austro-Ungarico correvano poco oltre Palmanova, presso Visco scendendo poi giù verso Aiello e quindi Cervignano, Aquileia e Grado fino al mare. I nati in quelle terre, furono arruolati nelle truppe asburgiche e spediti a combattere lontano dai confini con il Regno d'Italia, in Galizia e sui Carpazi (nell'attuale Romania) dove gli Austroungarici fronteggiavano i russi dello Zar.

A quel punto, i soldati italiani asburgici che cadevano prigionieri dei russi, se si dichiaravano "italiani" e quindi tecnicamente alleati della Russia, perdevano lo status di "prigioniero di guerra". Però la Russia fece poco o niente per rimpatriarli. 

Parecchi di questi, furono trasferiti a Vladivostock e arruolati nei Battaglioni Neri (detti cosí dal colore delle mostrine) per combattere i Bolscevichi affiancandosi ai russi fedeli allo Zar e a truppe americane, inglesi e francesi spedite lá per questo scopo. 

Per una fortunata coincidenza, considerando la bovina coglioneria degli alti comandi, i Battaglioni Neri non furono mai impiegati e gli ex prigionieri furono spediti in Italia da Vladivostock, via San Francisco, ferrovia transamericana, New York, Genova. 

Va ricordato, inoltre che quasi tutti i soldati austro-ungarici che tornarono a vivere nelle "province redente" furono internati in campi di concentramento in Italia centrale e/o meridionale dove parecchi morirono di "spagnola". 


Strigno (Trento), soldati austroungarici, "Prima compagnia Strigno" 14 novembre 1915

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Italiani Asburgici “sui monti Scarpazi”



Sui Monti Scarpazi
(autore anonimo)

Quando fui sui monti "Scarpazi"
"Miserere" sentivo cantar.
T’ho cercato fra il vento e i crepazi
Ma una croce soltanto ho trovà.

O mio sposo eri andato soldato
per difendere l’imperator,
ma la morte quassù hai trovato
e mai più non potrai ritornar.

Maledetta la sia questa guerra
Che m'ha dato sì tanto dolore.
Il tuo sangue hai donato alla terra,
hai distrutto la tua gioventù.

Io vorrei scavarmi una fossa,
seppelirmi vorrei da me
per poter collocar le mie ossa
solo un palmo distante da te.


Nelle serate dedicate al Centenario della Grande Guerra capita di ascoltare dei cori alpini intonare il canto “Sui Monti Scarpazi”. Questo non è un canto proprio della tradizione degli alpini ma appartiene ugualmente al repertorio delle storie della Grande Guerra. Sui Monti Scarpazi (storpiatura di Carpazi) narra dei giovani trentini arruolati nel 1917 dall’esercito austriaco, per combattere sul fronte russo, in difesa dell’Impero asburgico.

Dei giovani (classe 1899), che partirono per quelle terre remote, pochissimi fecero ritorno. «Coloro che non caddero finirono prigionieri dei russi, e un cupo silenzio e un’ansia di notizie scesero sulle province italiane di governo asburgico; simili a quelli che nella primavera del 1943 avrebbero raggiunto da Don le valli delle Alpi. Fu allora che in Trentino nacque una canzone popolare; si racconta di una sposa che parte dal paese e va a cercare il padre dei suoi figli: «Quando fui sui monti Scarpazi | miserere sentivo cantar. | T’ò cercato tra il vento e i crepazi | ma una croce soltanto ò trovà». Allora grida: «Maledetta sia sta guèra!» e vorrebbe seppellirsi in quella neve per restare vicina al suo uomo». (Mario Rigoni Stern, da “Tra due guerre e altre storie”)

Il canto viene menzionato per la forte invettiva contro la guerra: «Maledeta la sia questa guera, che mi ha dato sì tanto dolor. Il tuo sangue hai donato a la tera, hai distruto la tua gioventù». Ma non mi interessa evidenziare questo aspetto, che è pur rilevante. Piuttosto, mi commuove il tono tragico, la cadenza che accompagna il dolore inconsolabile di chi ha perduto il suo sposo: «Io vorei scavarmi una fossa, sepelirmi vorei da me, per poter colocar le mie ossa solo un palmo distante da te». Un piccolo requiem, che ha per sfondo eventi prossimi allo scoppio della Grande Guerra.

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