Il dibattito che tiene sulle spine i bevitori di spritz morsanici riguarda molto da vicino il futuro delle giovani generazioni che si affacciano al mondo dell'istruzione superiore.
PISA (Programme for International Student Assessment) è un indicatore conosciuto ai nostri studenti che si esprime con la "prova INVALSI" per stabilire le classifiche internazionali di conoscenza ed abilità degli studenti dalle elementari in poi (OECD rankings of educational attainment). A giudicare dalla reazione delle mamme morsanesi dovrebbe essere chiamato PISA ma per significare Pressione Incertezza Sociale Ansia.
I dati sono implacabili: i 15enni cinesi figli di gente comune hanno voti PISA in matematica molto migliori dei figli di professionisti, imprenditori e dirigenti morsanesi, della nazione circostante e pure del continente circostante.
Ad ogni modo, l'istruzione conterà sempre più; negli ambienti che contano si prevede che in futuro non ci saranno nazioni "povere" ma nazioni "ignoranti" e lo stesso vale per il mondo del business con produzioni più o meno critiche altamente dipendenti dal livello medio d'istruzione della forza lavoro. Nella "società della conoscenza" (la "knowledge society") di fatto non ci son scuse per la mancanza di performance e i governi più avveduti questo lo sanno.
Però qui sorge il problema fondamentale che al bar di Morsano non è sfuggito: conta più il grado formale d'istruzione e quindi il titolo d'istruzione o l'esperienza sul campo?
La mania di comparare le nazioni in base "al numero di laureati" è un buon metro di giudizio sul sistema educativo di una nazione e sulla sua competitività di lungo corso oppure è una misura fallace?
Chi dice che è una misura fallace punta il dito sulla necessità di esperienze qualificate che non necessariamente sono correlate ad titolo di studio formalmente di alto livello. Vero che i dirigenti d'azienda sempre più mettono a fuoco il "capitale umano", infelice espressione per indicare la forza lavoro ma non è detto che questo sia valorizzato dagli indicatori del PISA.
In Germania la macchina economica è mandata avanti dai "Facharbeiter", gli specialisti (come da noi i periti) ed esiste un ottimo sistema di apprendistato che molti vorrebbero importare anche in Italia. Apprendistato significa "esperienza sul campo". L'esempio della Germania non sembra essere seguito molto visto che un recente studio di McKinsey ha verificato che i legami tra scuola e mondo del lavoro, in media sono labili ovunque, pure ManPower in un suo sondaggio ha appurato che solo il 6% delle imprese sono partner di istituti scolastici e università.
Però qui sorge il problema fondamentale che al bar di Morsano non è sfuggito: conta più il grado formale d'istruzione e quindi il titolo d'istruzione o l'esperienza sul campo?
La mania di comparare le nazioni in base "al numero di laureati" è un buon metro di giudizio sul sistema educativo di una nazione e sulla sua competitività di lungo corso oppure è una misura fallace?
Chi dice che è una misura fallace punta il dito sulla necessità di esperienze qualificate che non necessariamente sono correlate ad titolo di studio formalmente di alto livello. Vero che i dirigenti d'azienda sempre più mettono a fuoco il "capitale umano", infelice espressione per indicare la forza lavoro ma non è detto che questo sia valorizzato dagli indicatori del PISA.
In Germania la macchina economica è mandata avanti dai "Facharbeiter", gli specialisti (come da noi i periti) ed esiste un ottimo sistema di apprendistato che molti vorrebbero importare anche in Italia. Apprendistato significa "esperienza sul campo". L'esempio della Germania non sembra essere seguito molto visto che un recente studio di McKinsey ha verificato che i legami tra scuola e mondo del lavoro, in media sono labili ovunque, pure ManPower in un suo sondaggio ha appurato che solo il 6% delle imprese sono partner di istituti scolastici e università.
Esempi di partnership spesso citati nei chioschi paesani sono
- Wipro, la conglomerata ICT indiana che apre a migliaia di studenti ogni anno
- Siemens che apre regolamente le fabbriche a tour di studenti e famiglie
- SK Telecom che in Sud Korea ha un'iniziativa dedicata agli studenti
Ci sono poi le iniziative delle nostre grandi aziende nostrane (es. Danieli, Fincantieri ecc.) ma nel complesso è ritenuto troppo poco.
Secondo alcuni spritzettari, il problema è che le aziende son comunque solo interessate a sviluppare esperienze e capacità molto definite e non hanno un impatto su larga scala. Quindi le esperienze pratiche affinchè siano patrimonio collettivo e ricchezza collettiva, andrebbero strutturate su larga scala (come ad esempio succede in Germania con il programma di apprendistato obbligatorio). C'è poi da considerare che "esperienze" significa anche attività extracurricolari. Nel caso paesano, ad esempio, organizzare qualcosa o essere coinvolti in un'associazione o nella politica locale aiuta a capire le persone e a tonificarsi il fegato, tutte cose che son utili poi nel mondo del lavoro.
Così il bancone si è diviso tra:
- chi sostiene che l'istruzione formale è la chiave del futuro perchè tanto più si ha studiato sui banchi di scuola e tanto piùsi è flessibili per abbracciare i cambiamenti del futuro
- e chi sostiene che sono le esperienze di vita e di business che fanno la differenza contro la sola teoria dei piani di studio e quindi ci si deve preoccupare se i giovani son solo concentrati sugli studi formali tralasciando le esperienze accessorie
...e il dibattito continua
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Vedi anche Skills are more than the sum of school data
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