“La crisi finanziaria iniziata nell’estate del 2007 dovrebbe (…) essere
intesa come un fattore di accelerazione in una già ben consolidata tendenza di
relativo declino dell’Occidente. Si è sfiorata una vera e propria Grande
Depressione. I motivi per cui ci si è limitati a una Modesta Depressione sono
tre.
Primo, l’enorme incremento nei prestiti bancari della Cina, che hanno
mitigato gli effetti della contrazione nelle esportazioni in
Occidente.
Secondo, la massiccia espansione della base monetaria statunitense
decretata dal presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke.
Terzo, gli
immensi deficit fiscali di quasi tutti i paesi sviluppati, con in testa gli
Stati Uniti, il cui deficit ha superato il 9 per cento il PIL per due anni
consecutivi.
Queste politiche – l’esatto contrario di quelle adottate
all’inizio degli anni Trenta del Novecento – hanno salvato dal baratro
l’economia mondiale a partire dal giugno 2009. Ma ora il mondo sviluppato si
trova in quella fase di dopo sbornia che segue necessariamente a ogni forma di
eccessiva stimolazione. (…)
E’ importante ricordare che quasi tutti i casi di
collasso di una civiltà si accompagnano a crisi fiscali e a guerre. (…) Pensate
alla Spagna del XVI secolo: già nel 1543 quasi due terzi delle entrate ordinarie
erano destinati al pagamento degli interessi sugli juros, i prestiti con cui la
monarchia asburgica si finanziava. Nel 1559 tali interessi superavano il valore
delle entrate ordinarie, e la situazione non era particolarmente migliorata nel
1584, quando l’84 per cento delle entrate ordinarie servì a pagare gli interessi
sugli juros. Nel 1598 si era tornati al 100 per cento. Oppure pensate alla
Francia del XVIII secolo: fra il 1751 e il 1788, alla vigilia della Rivoluzione,
i pagamenti degli interessi e le spese di ammortamento salirono da poco più di
un quarto delle entrate fiscale al 62 per cento. C’è poi il caso della Turchia
ottomana nel XIX secolo: il servizio del debito pubblico passò dal 17 per cento
delle entrate nel 1868 al 32 per cento nel 1871 e al 50 per cento nel 1877, due
anni dopo l’ingente default che spalancò le porte alla disintegrazione
dell’Impero ottomano nei Balcani. Infine, consideriamo il caso della Gran
Bretagna nel XX secolo: alla metà degli anni venti l’onere del debito assorbiva
il 44 per cento delle spese complessive del governo, superando costantemente le
spese per la difesa fino al 1937, quando si avviò un serio progetto di riarmo.
Ma si osservi che i veri problemi per la Gran Bretagna si aprirono dopo il 1945,
quando una considerevole parte del suo immenso debito era in mani straniere. Dei
21 miliardi di sterline cui ammontava il debito nazionale al termine della
guerra, circa 3,4 miliardi dovevano essere rimessi a creditori stranieri: una
cifra equivalente a quasi un terzo del PIL.”
Niall Ferguson, Occidente, pag. 349-350.
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