Mio nonno, tuo nonno, suo nonno... eravamo tutti furlani |
Si parte da Dante che nel "De vulgari eloquentia" scrive «Forum Iulii vero et Ystria non nisi leve Ytalie esse possunt. […] Post hos Aquilegenses et Ystrianos cribremus, qui Ces Fastu? crudeliter accentuando eructant. Cumque hiis montaninas omnes et rusticanas loquelas eicimus, que semper mediastinis civibus accentus enormitate dissonare videntur». Interessante l'uso del verbo "eructar" riferito alla lingua parlata in Friuli a inizio 1300.
A seguire, nel 1395, Coluccio Salutati scrisse dei friulani «feroces et poene barbaros homines ad tranquillitatem de contentionis turbine revocare potuisti» ...litigiosi e violenti come barbari, di linguaggio rustico.
Ma il meglio dello spregio arrivò dai Veneziani della Serenessima. Nell'epoca dei dogi, dall'annessione del Patriarcato del Friuli fino alla caduta della Repubblica, "furlan" fu un termine usato come autentico insulto.
Pensa l'ironia della storia: vicino alla villa Manin oggi producono il vino "friulano" del doge... |
C'erano pure delle prese in giro di origine istriana che recitavano così: "Furlan, magna merda e lassa il pan" o "Furlan, culo in fosso" (che fa il verso a "Venezian, culo in acqua" sempre di origine istriana).
Se a Livorno proferivano "Meglio un morto 'n casa che 'n pisano all'uscio.", a Venesia xe diseva "Dime ludro, dime can, ma no me dir furlan" oppure "né fasioi né furlani no xe grazia di Dio" e per finire "dal furlan, né bon vento, né bon cristian".
Non poteva mancare il buon vecchio Carlo Goldoni che nella commedia "Le Massere" fa dire ad un personaggio in scena: «Perché ne toca a nuialtri veneziani, veder el megio e il bon in man a sti furlani...».
Per ironia della sorte però, la Venezia che tanto dileggiava i "furlani", nel 1789, vide l'elezione a doge di Ludovico Manin che proveniva da una ricca famiglia friulana la cui nomina fu così commentata da un altro aspirante al corno dogale: «I ga fato dose un furlan. La Republica xe morta!». Condita con la filastrocca dei popolani veneziani «Lodovico Manin, cuor picinin, streto de man, vero furlan» a sottolineare la tirchieria vera o presunta del "dose furlan". Pochi anni dopo, nel 1797, Napoleone arriva e fa chiudere baracca e burattini ai venesiani.
Ma il dileggio dei "furlani" non finì. A tal proposito si può ricordare un dialogo scritto dal Malmani in un libro del 1892, "Il Settecento a Venezia". Qui scrive del battibecco tra una "recamadora" e una "conzateste": «Che ti, pezo di furlana, ti se qua per sfacendar» al che la risposta: «Mi furlana? Dì, carogna, ti sarà ti una vilana». Furlana uguale villana dunque.
Che dire: i soliz sotans!
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