Riprendiamo qui una discussione che c'è stata in paese recentemente. S'è parlato di mortalità infantile.
A tal proposito, la cosa che più si nota è come sia cambiato profondamente l'assetto del cimitero paesano: qualche decennio fa, fino a circa gli anni Cinquanta, quasi metà del cimitero era dedicato alle sepulture dei bambini. Tantissimi erano infatti i bambini che morivano a causa della malnutrizione, in particolare a seguito di deficienza di vitamine e sali minerali che facilitava alcune patologie dall'ovvio dimagrimento, all'apatia, alla debolezza muscolare, alla depressione del sistema nervoso, alla minor resistenza alla malattia, all'invecchiamento precoce, all'indebolimento della vista, e finanche la morte. Frequenti cause di morte erano anche l'assenza di medicinali la cui disponibilità oggi è data per scontata, quali gli antibiotici o per ferite non curabili a causa dei limiti della scienza medica di allora o semplicemente per la mancanza di un pronto soccorso. Non mancavano anche i bambini che morivano per incidenti sul lavoro (incidenti legati al mondo agricolo in particolare o per infezioni a seguito di ferite contratte lavorando). Infine c'era lo stillicidio delle morti al parto che coinvolgeva tristemente sia le madri che i pargoli.
Fatto sta che appunto fino agli anni Cinquanta, ben metà del cimitero di Morsano era dedicato alle sepolture di bambini ricordati da una triste distesa di croci bianche e angioletti di pietra. Nei decenni sucessivi questa porzione di Campo Santo è andata riducendosi fino a rappresentare meno di un quarto della superficie totale negli Anni Ottanti e quindi scomparire del tutto negli Anni Novanta.
Chiaramente la conformazione del cimitero riflette la migliorata aspettativa di vita dei Morsanesi. Bambini, per fortuna, non ne muoiono più con la terribile frequenza d'un tempo e se è vero che se ne fanno di meno, è anche vero che hanno praticamente la certezza di vivere molto più a lungo dei bambini di qualche decennio fa.
Queste le considerazioni che hanno messo tutti d'accordo.
Il pomo della discordia è stato quando s'è discusso su cosa questo significhi per la "specie umana morsanica". Infatti, una delle posizioni messe sul tavolo della discussione è stata che in effetti chi sopravviveva nei tempi che furono era fatto di stoffa eccezionale e quindi la "specie umana" si rafforzava di generazione in generazione grazie al principio darwiniano di "sopravvivenza dei migliori".
I "geneticamente deboli", purtroppo, morivano da piccoli (oltre a quelli che sebbene sani, morivano per infortuni non curabili per l'assenza di medicine adeguate come ad esempio la penicillina).
I sostenitori di questa tesi, argomentano che oggi, anche i deboli sopravvivono a suon di punture, cure e accanimenti terapeutici vari con il rischio che poi "la specie umana" si indebolisca strutturalmente.
E' vero che i vecchietti paesani sono l'anello forte della catena evolutiva visto che sono sopravvissuti a due guerre mondiali e relative epidemie (febbre gialla, tifo e TBC in particolare) e alla miseria. Tuttavia, a conti fatti, se ognuno di noi pensa alle malattie che ha avuto fin qui nella sua vita, chi può dirsi sicuro di non essere lui l'elemento debole della catena?
Quanti di noi, figli del popolo, se nati 100 anni fa, saremmo stati quantomeno zoppi, mezzi ciechi, senza denti e probabilmente ampiamente disabili già prima dei 20 anni di vita? E quanti di noi sarebbero andati ad incrossare la fila di croci bianche pochi anni dopo la nascita se non ci fosse stata la medicina moderna o la disponibilità alimentare dei giorni nostri?
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